Avete mai notato che le persone positive normalmente hanno abitudini più sane, riuscendo così a regolare le proprie emozioni e trasformando le minacce in sfide? E non solo: è ormai noto che salute, longevità e pensiero positivo vanno di pari passo. Vi riportiamo un interessante articolo uscito sulla sezione neuroscienze del Corriere della Sera.
Non sempre la vita è tutta rose e fiori, ma è comunque meglio restare ottimisti, e chi non lo è di natura dovrebbe sforzarsi di diventarlo anche solo un po’. Infatti una ricerca pubblicata sui Proceedings of the National Academy of Sciences indica che chi è ottimista ha maggiori probabilità di superare l’ambita soglia degli 85 anni, arrivandoci anche in discreta salute. Salute e longevità vanno infatti di pari passo, probabilmente attraverso un’azione della prima sulla seconda. La ricerca è stata realizzata da un gruppo di psichiatri ed epidemiologi di Boston guidati da Lewina Lee del Department of psychiatry della Boston University School of Medicine e ha preso in esame circa settantamila donne e 1500 uomini, rilevandone per decenni longevità, presenza o meno di ottimismo, più alcune variabili connesse allo stato di salute.
Individuati anche i meccanismi psicologici attraverso i quali chi è ottimista arriva a godere di migliore salute e vita più lunga. «Gli ottimisti tendono ad avere qualche obiettivo preciso da raggiungere e hanno fiducia che riusciranno» dicono i ricercatori. «Seguono uno stile di vita sano e sanno frenare impulsi verso comportamenti potenzialmente insalubri, proprio per continuare a perseguire i propri obiettivi. Ma hanno anche modalità migliori per affrontare e risolvere i problemi, e ridefiniscono gli obiettivi irraggiungibili». E quando la vita presenta gli inevitabili eventi stressanti e le avversità, gli ottimisti se la cavano meglio di chi ottimista non è. Hanno risposte emotive negative di scala ridotta e tempi di recupero più brevi. «Di fronte alle difficoltà, gli ottimisti mostrano migliori abilità nel regolare le emozioni attraverso strategie cognitive, ad esempio riformulando potenziali minacce sotto forme di sfide» dicono ancora i ricercatori statunitensi. «Oppure, utilizzano strategie comportamentali, come saper resistere a soddisfazioni immediate a favore di obiettivi di lunga durata».
Queste strategie cognitivo comportamentali fanno sì che chi è ottimista possa godere di profili biologici vantaggiosi, contribuendo a mantenere buoni livelli di salute cardiovascolare e polmonare, e un miglior funzionamento sia del metabolismo sia del sistema immunitario. Proprio niente da fare per i pessimisti? Anzi, c’è molto da fare, dato che, come qualunque altra strategia cognitivo comportamentale, anche l’ottimismo si può imparare. Probabilmente chi è pessimista di natura non avrà mai un approccio alla vita positivo quanto quello di chi è nato ottimista, ma diversi studi hanno dimostrato che è possibile imparare a vedere un po’ più rosa. Una revisione sistematica, che ha messo insieme i risultati di una trentina di studi realizzati su circa tremila persone, è stata condotta da John Malouff e Nicola Schutte del Department of Psychology dell’University of New England di Armidale, in Australia. Da questa disamina è emerso che diversi interventi psicoterapici a orientamento cognitivo comportamentale possono rendere un po’ più ottimisti, con ricadute positive sulla propria salute. Un’altra ricerca, pubblicata sulla rivista General Hospital Psychiatry, realizzata su persone con malattia coronarica, ha mostrato che una psicoterapia di gruppo di otto settimane può migliorare la visione del futuro.
Una ventina di anni fa è stata messa a punto da Giovanni Fava, docente di psichiatria alla State University di New York di Buffalo, la Well-Being Therapy, psicoterapia che invece di focalizzarsi sul malessere, si basa sul monitoraggio del benessere psicologico, che il paziente impara a incrementare con tecniche specifiche. Ha una durata limitata, 8-10 sedute, finalizzate a individuare i fattori che impediscono lo sviluppo del benessere psicologico, provando nello stesso tempo a rimuoverli. «È una forma di autoterapia, in cui quello che conta è soprattutto quello che una persona fa tra una seduta e l’altra» dice Giovanni Fava, autore del libro Psicoterapia breve per il benessere psicologico (Cortina editore, 2017).
«L’efficacia si basa su studi controllati. Può essere impiegata con persone che hanno episodi ripetuti di depressione. Altri studi hanno confermato la sua utilità nel trattamento degli stati di ansia generalizzata e degli sbalzi di umore frequenti». Una ricerca pubblicata sulla rivista Human Brain Mapping indica anche che nel cervello degli ottimisti è presente un più basso livello di attività neuronale a riposo nella zona della corteccia cerebrale orbitofrontale destra. Attività che risulta invece più alta in persone che soffrono di disturbi tipicamente accompagnati da una visione pessimistica della vita, come depressione, stati d’ansia e disturbo post-traumatico di stress. Ulteriori ricerche dovranno aiutare a capire quanto queste caratteristiche neurobiologiche di base possano cambiare in corso di trattamento e quanto rimangano stabili nel tempo, e quindi quale sia il rischio di ricadere in una visione più buia della vita.
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